Mino Maccari e l'arte M. Cappelli
Intervento di Luca Piacentini
Prima di iniziare questo breve intervento per illustrare e proporre alcune riflessioni sul libro “Maccari e l’arte” di Mario Cappelli, ci tengo a ringraziare vivamente l’Associazione Mino Maccari di Colle Val D’Elsa che ha reso possibile non solo la pubblicazione di un lavoro di pregevole fattura, come il libro di cui parleremo durante questa serata, ma anche la realizzazione stessa di questo incontro in cui saranno discussi e analizzati molti aspetti culturalmente rilevanti sia per la cittadinanza di Colle Val D’Elsa, sia per gli ambienti culturali e artistici che si occupano di arte e scrittura del ‘900. In particolare un ringraziamento và al segretario dell’Associazione Mino Maccari, Gennaro Russo, ideatore e promotore di questo evento e ovviamente al Presidente Casagli che ha permesso la realizzazione di tutto ciò. Prima di discutere di alcuni aspetti, a mio avviso interessanti ed intriganti del libro di Mario Cappelli, direi che è necessario in questa sede presentare brevemente la vita dell’autore, personaggio di rilievo nella società colligiana del XX e XI secolo.
Stiamo quindi parlando di un autore che non è sicuramente all’esordio nella pubblicazione dei suoi scritti, anzi che ha una certa esperienza da un lato nello studio particolareggiato di aspetti socioculturali della città di Colle Val D’Elsa e del suo territorio e dall’altro nella scrittura, fluida e accattivante con cui si distingue la sua prosa. Non volendo anticipare molto del contenuto del libro, di cui comunque discuteremo nei prossimi minuti, e lasciando un po’ di spazio alla mia indole di studioso di storia della lingua italiana, vorrei citare un passo della prefazione al libro di Mario Cappelli, scritta appunto dal presidente dell’Associazione Mino Maccari, Signor Antonio Casagli.
Indubbiamente la prima cosa che mi sento di osservare è lo spessore culturale del libro. E’ un libro che parla di uomini e di esperienze, di arte e di artisti, ma ciò che balza all’occhio all’istante sono i continui riferimenti artistici e culturali che l’autore non esita a sottoporre al lettore. Questi continui riferimenti, se da un lato mostrano la sensibilità culturale del Cappelli, dall’altro suscitano una vibrante curiosità nel lettore. L’artista Maccari fa da collante a questa splendida carrellata artistica, ne è protagonista e antagonista nello stesso momento: come nel corso dei miei studi ho potuto constatare tra le pagine del Selvaggio, il Maccari è tutto fuorché banale. E questo Cappelli lo sa bene e lo mostra in numerosi capitoli (solo per citarne alcuni vi rimando al capitolo “Mino Maccari, l’autoironia e le donne a Torino” in cui Mario Cappelli descrive non solo aspetti stuzzicanti della personalità dell’artista Maccari e della sua vivace vita torinese, ma si sofferma anche su aspetti fortemente connotati riguardanti l’autoironia e la goliardia tipici del Maccari strapaesano inserito nella società stracittadina di Torino). Il libro di Cappelli riesce a tessere una ragnatela accattivante, prendendo in considerazione una situazione che mi sentirei di definire tridimensionale: Maccari uomo, Maccari artista, Maccari selvaggio. Il tutto contornato dalle figure che gli sono stati accanto, lungo la sua vita artistica (Curzio Malaparte, Leo Longanesi, Ottone Rosai, solo per citarne alcuni). E se il Maccari-artista è il protagonista indiscusso del libro (Cappelli cita un’infinita di opere, sempre a dimostrazione dell’incredibile conoscenza dell’argomento che tratta) e a lui è tributato il maggior numero di capitoli, è il Maccari-uomo ad essere l’elemento scrittorio più riuscito del libro. Non può esistere un grande artista, senza che egli sia allo stesso momento una persona particolare e piena di aneddoti. E il lavoro di Cappelli riesce proprio nell’intento di portare il lettore nella dimensione di vita vissuta di Maccari, l’uomo dai mille aneddoti, dalle innumerevoli bizzarrie, dalla penna veloce e dissacrante. Ciò che per interesse accademico invece mi ha colpito di più è stato il Maccari-selvaggio che a più riprese è citato tra le pagine del Cappelli. Il capitolo che ho sentito più vicino ai miei studi accademici è infatti quello riguardante le invettive di Maccari nei confronti di Sem Benelli, tra le pagine del Selvaggio. Il linguaggio frizzante e il tono accusatorio dei primi anni ’20 che il Cappelli sottolinea è lo stesso che ho ritrovato nelle mie ricerche: è il tipico esempio del lessico del Selvaggio Colligiano, più volte ribadito nelle mie riflessioni accademiche. Dal Selvaggio n. 10 del 1 Ottobre 1926: «Dal castello di Zoagli / ogni tanto s’odon ragli / e perciò che la Melato / Sem Benelli ha intervistato.» Dal Selvaggio n. 11 del 21 Settembre 1926: «Sem Benelli, la Mezza Lega» Dal Selvaggio n. 2 del 1-14 Aprile 1926 «Sem Benelli è un fesso; e chi afferma il contrario gli fa compagnia» Maccari non perde occasione per gettare benzina sul fuoco nel descrivere attività e pensiero del suo avversario artistico Sem Benelli: accusato di essere un filo dannunziano, avverso alla centralità di Mussolini e promotore della tanto odiata “Lega italica”. Cappelli riordina con straordinaria puntualità molto del materiale presente sul Selvaggio e mostra, con grande chiarezza, il “Guai se la penna, in man tentenna” espressione tanto cara al Mino Maccari giornalista. L’autore evidenzia con estrema precisione alcuni dei passaggi più significativi per delineare gli stilemi tipici della scrittura di Maccari: la satira dissacrante, la prosa corposa, ma mai ampollosa e il ritmo tremendamente incalzante. Tutto ciò unito ad un lessico profondamente connotato, politicamente e territorialmente. Maccari e il Selvaggio: un nesso imprescindibile se si vuole parlare della vita e delle opere di questo artista. E’ proprio nelle pagine del Selvaggio che il Cappelli ripercorre la vita, le stranezze, le ideologie e la morale di Maccari. Il Cappelli, nel suo elogio e nell’attenta valutazione di ogni singola relazione sociale dell’artista, non si risparmia certo qualche critica al protagonista del suo libro: il moralismo “interessato” dei primi anni del Selvaggio ne è un esempio lampante. Con questa tridimensionalità l’autore riesce a far breccia nell’interesse del lettore, il quale è spinto ad un’ammirazione convinta verso uno degli artisti toscani più importanti e più discussi del ‘900. Grande rilievo nel libro è la comparazione dell’artista Maccari con altri artisti e grandi personalità del suo tempo e non. I capitoli su Raffaello e D’Annunzio sono di una sensibilità rara: la capacità dell’autore sta nel mettere in relazione spaccati di vita, interviste e opere di Maccari con la cultura italiana presa nel suo insieme e nella sua complessità. In particolare il capitolo su D’Annunzio ha suscitato in me una profonda curiosità e sarà oggetto di qualche riflessione nei prossimi minuti. La centralità del Maccari artista viene assorbita invece proprio dal capitolo “Raffaello, Maccari e altri”. Questo capitolo pone una questione fondamentale, apparentemente elementare, ma invece molto articolata e complessa: come nasce un’opera d’arte. Cappelli parte dalla descrizione di alcuni capolavori del pittore Raffaello: «Dalle opere di Raffaello sembra infatti assente – in generale- il senso dello sforzo che pur è stato necessario per la loro creazione; semplicità non è però semplicismo, e facilità non è faciloneria. L’apparente semplicità di ciascuna di esse può sembrare il risultato di una facilità di esecuzione frutto di una specie di improvvisazione geniale, anziché di una profonda meditazione e di una sapienza artistica raggiunta con un’applicazione spesso lunga e sofferta. (…) Ciò che però voglio qui mettere in rilievo è che tali e tanti prodigiosi risultati sono la conclusione di “cartoni”, cioè di studi preparatori sempre sofferti e tante volte numerosi. (…) Le opere veramente valide non sono mai, anche quando sono fatte da un genio, frutto dell’improvvisazione e della rapidità.» Per avvalorare la sua tesi, a mio modesto parere del tutto condivisibile, Mario Cappelli riporta numerosi esempi riguardanti il lavoro minuzioso, e talvolta ossessionato, degli artisti nei confronti delle loro opere: nomina Leopardi, Manzoni, lo stesso D’Annunzio (il quale tanto si beava delle sue opere frutto del suo genio immediato, improvviso e “di getto”, ma che studi moderni hanno dimostrato essere invece risultato di un profondo lavoro di revisione e continua correzione alla ricerca dell’esito perfetto, nella sua imperfezione mascherata). E in tutto questo discorso rientra anche l’artista Maccari, stereotipato nel suo ruolo di artista d’improvvisazione e di spontaneità, racchiuso nel personaggio di “artista maledetto” che un po’ ricercò e un po’ gli venne affibbiato dalla critica. Cito quindi un passaggio di Mario Cappelli che ben delinea il suo pensiero riguardo a questa travagliata questione: «E i “disegnini” rapidi, fantasiosi, sottilmente allusivi, o graffianti, a volte geniali, che concedeva (…) a chiunque gliene faceva richiesta, o che rilasciava (fatti magari su un tovagliolo di carta intingendo un dito nei fondi di caffè) ad un tavolo d’osteria? Al di là delle facili apparenze sono quasi sempre espressione del lavorio interno col quale il Maccari seguiva con costante dedizione il lampeggiare di intuizioni tra le più varie, talvolta scontate, talvolta originali, talvolta più o meno involute, talvolta vivide come gemme.» E del Maccari uomo quando si parla? Ad inizio intervento abbiamo detto quanto questa sia sicuramente l’asse portante del testo, l’elemento chiave su cui vertono tutte le riflessioni dell’autore sugli argomenti di arte e cultura trattati nel libro. Tutti siamo stati studenti di arte e letteratura alle scuole medie, alle scuole superiori, qualcuno addirittura ha proseguito fino all’università. Ora chiederei a ciascuno di voi di immaginare una lezione su una poesia di Dante, di Manzoni, di D’Annunzio, senza fare nessun riferimento alla vita vissuta dell’autore. L’opera perderebbe molta dell’umanità che possiede, rimarrebbe nuda, gelida, stampata su un foglio di carta. Accessibile si, ma profondamente distante dal suo pubblico. Non è necessario dilungarmi ulteriormente nella descrizione del libro “Maccari e l’arte” di Mario Cappelli che come il pubblico in sala avrà certamente capito rappresenta motivo di vanto per la cittadinanza di Colle Val D’Elsa e un elemento di rilevante importanza per gli studi sull’artista Maccari in corso in questi anni. Un libro di rilevante spessore culturale, scritto in un linguaggio trasparente e che si spera, proprio per questi motivi, possa far avvicinare nuove voci nei prossimi anni allo studio del personaggio Mino Maccari. Concludo, citando un passo della prefazione al libro, scritta dallo stesso autore. «In quest’ottica il mio andirivieni (…) potrebbe essere non dico (e me ne guardo bene) un micro contributo ad intender l’uomo come storia, ma uno strumento in qualche modo utile a chi abbia voglia e gambe per camminare.» Luca Piacentini, 14/12/2013
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