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LA
POLITICA DEL SELVAGGIO
(F.
Salvi, P. Viviani)
E' un
dato ormai ampiamente acquisito dalla storiografia la distinzione, operata
in maniera compiuta soprattutto dal De Felice nella sua monumentale biografia
mussoliniana, tra la componente movimentista del fascismo, che mantenne
sempre una carica rivoluzionaria, e il regime vero e proprio, al cui consolidamento
contribuirono senza dubbio i tradizionali centri di potere.
Il fascismo costituisce un fenomeno estremamente complesso, di cui sono
state date molteplici interpretazioni. Senza entrare nel merito del dibattito
storiografico, resta il fatto che tra il 1924 e il 1925, si aprì
una nuova fase della vita politica italiana. Il regime, così come
venne a determinarsi, non rappresentava la continuità dello Stato
liberale (tant'è che anche lo stesso Mussolini si definiva rivoluzionario).
Tuttavia l'appoggio della burocrazia e della vecchia classe politica costituzional-moderata
non può essere certamente considerato irrilevante ai fini della
permanenza di Mussolini alla guida deI governo. L'ingresso nel P.N.F.
di molti elementi provenienti dalle file del nazionalismo e del conservatorismo
liberale, provocò un certo malumore tra i fascisti della "prima
ora", ovvero tra coloro che avevano sovente costituito l'ossatura
delle squadre d'azione. Essi, avendo dato un contributo determinante alla
vittoria del fascismo, non volevano in nessun modo essere relegati in
posizione subalterna.
Certamente non sempre risulta particolarmente agevole discernere, nell'ambito
del ricorrente dissenso interno, il momento costruttivo dalla conflittualità
determinata soltanto da motivi di
carattere puramente personale o dalla semplice esaltazione della violenza.
A prescindere da tutte
le considerazioni che possono essere fatte in proposito occorre precisare
che il Maccari polemizzò molto spesso con alcuni gerarchi, evitando
tuttavia di pervenire ad un contrasto insanabile. Egli riteneva di interpretare
lo spirito degli squadristi che avevano seguito Mussolini fin dall'inizio,
e che ad un certo punto non erano disposti a tollerare l'ingerenza dei
cosiddetti fiancheggiatori, ovvero di coloro che, sempre secondo l'opinione
dell'artista colligiano, consideravano il fascismo soltanto come mero
strumento di conservazione dell'ordine sociale preesistente. Nel gennaio
del 1924, durante la visita a Colle di Edmondo Rossoni, attaccò
pubblicamente alcuni notabili del paese che erano iscritti al P.N.F.,
provocando addirittura le dimissioni di dodici consiglieri comunali. e,
sempre nello stesso periodo, scrisse due articoli apparsi sulla "Scure
", in cui ribadiva il suo disappunto nei confronti di coloro che
avevano aderito al fascismo per opportunismo, soltanto insomma per mantenere
i loro privilegi; e qui si riferiva in particolare od alcuni esponenti
della Federazione Provinciale. Le esternazioni del giovane avvocato si
fecero così vivaci da infastidire sia i dirigenti locali del P.N.F.,
sia le istituzioni. E' il caso di sottolineare che nel marzo del 1924,
in base ad una inchiesta fatta dai carabinieri, il Prefetto rilevava come
il Fascio di Colle fosse composto da elementi per così dire "troppo
spinti".
Nelle elezioni politiche del 6 aprile, grazie alla legge Acerbo, e al
clima intimidatorio in cui si svolsero, la lista fascista ottenne la maggioranza
dei seggi alla Camera.
A questo proposito occorre precisare che in Toscana, così come
in altre regioni, venne formata dai liberali fiancheggiatori un'ulteriore
lista (Aquila), nell'intento di sottrarre seggi all'opposizione. Il comitato
provinciale fascista di Siena, appellandosi agli elettori di alcuni comuni,
tra cui Colle, cercò pertanto di far convergere sulla seconda lista
il. maggior numero di preferenze. Il fatto che, nonostante le direttive
impartite, questo non si sia verificato, dato che la lista governativa
fu comunque la più votata, mostra chiaramente la scarsa propensione
dei fascisti valdelsani, e in particolare di quelli colligiani, ad accettare
compromessi con gli esponenti liberali.
Il lO giugno venne aggredito e ucciso il deputato socialista Giacomo Matteotti,
dopo aver pronunciato in Parlamento un discorso con cui contestava sostanzialmente
la validità delle precedenti consultazioni elettorali. Questo grave
episodio provocò in tutta la popolazione profondo sdegno e commozione.
Infatti ampi strati della borghesia, che fino a quel momento avevano sostenuto
il movimento di Mussolini, rimasero disorientati; si ebbe uno sbandamento
anche tra le file del fascismo stesso e molti preferirono uscire di scena.
E' proprio in questa situazione che il 13 luglio del 1924, uscì
a Colle, dove pure si erano avute manifestazioni di solidarietà
nei confronti della famiglia Matteotti, "ll Selvaggio" di Angiolo
Bencini e Mino Maccari. Lo scopo della rivista fu evidente fin dal primo
numero: difendere e diffondere la fede degli squadristi, ovvero di coloro
che si dichiaravano pronti a sostenere la causa fascista in modo incondizionato.
E' lecito chiedersi a questo punto come mai l'esperienza del "Selvaggio"
sia iniziata proprio a Colle. Qui la pubblicistica politica aveva una
tradizione ormai consolidata, grazie anche alla presenza di numerose tipografie:
"La Martinella" e "L'Elsa", cui è stato accennato
nei capitoli precedenti ne sono un esempio. E' pertanto abbastanza logico
che uscisse, nel fermento politico di allora, un giornale fascista: del
resto, fin dagli inizi del fascismo, sorsero praticamente in ogni capoluogo
di provincia e qualche volta anche in piccole città. Essi sovente
rispecchiavano i modi di vivere e servivano alle ambizioni del ras locale,
in quanto di quel ras, da un lato blandivano e dall'altro tenevano sotto
controllo la massa dei gregari. E da notare che, nel corso degli anni,
la diffusione della stampa locale del partito si moltiplicò per
opera dei sotto-ras, i cui "fogli" talvolta rimanevano circoscritti,
nelle grandi città, ad un ambito poco più che rionale. "il
Selvaggio" costituiva indubbiamente un'eccezione. Infatti, innanzi
tutto non era legato ad alcun ras (anche se il rassismo veniva considerato
necessario all'avanzamento delle istanze periferiche del fascismo); inoltre
ottenne subito un'ampia diffusione a livello provinciale, essendo secondo,
nel numero delle copie vendute. soltanto al "Popolo Senese"
(anch'esso fascista), nel periodo compreso fra il 1924 e il 1925. Tra
l'altro nessun'altra pubblicazione dell'epoca poteva vantare motti di
spirito simili a fuochi d'artificio, battute al vetriolo e incisioni del
tipo di quelle realizzate dal Maccari. Egli affermava che le istanze "innovatrici"
del movimento erano minacciate dalle manovre poste in essere dalla vecchia
classe dirigente, la quale intendeva riappropriarsi del potere, Per evitare
che ciò si verificasse, secondo l'artista colligiano, occorreva
adottare una soluzione drastica: noi non possiamo adattarci ad una tattica
pacifista (...) noi prepariamo le coscienze e i muscoli per le lotte future,
per immancabili vittorie, si diceva sempre nel primo numero della rivista.
Contro le proteste delle opposizioni, che avevano abbandonato la Camera,
si ribadivano vigorosamente l'intransigenza e la violenza dello squadrismo
provinciale.
Le annate del "Selvaggio" colligiano mantennero queste intonazioni
e questi bellicosi propositi, tanto da rappresentare il momento principale
dell'aspetto più propriamente politico della rivista.
Maccari esortava i fascisti ad ignorare il mutevole atteggiamento dell'opinione
pubblica, la quale tanto per usare le parole dell'artista colligiano,
si dà a questo o a quello con la stessa volubilità cui la
mondana cambia il proprio ganzo. La sua polemica si rivolgeva soprattutto
nei confronti di coloro che non avevano esitato a rinnegare il fascismo,
dopo averlo magnificato all'indomani della marcia su Roma. Comunque il
fatto che molti di quelli che avevano cantato Botte, botte, botte, botte
in quantità! si fossero tolti la camicia nera, dopo l'Omicidio
Matteotti, non aveva affatto spento l'ardore degli squadristi. Così
si esprimeva il Maccari: E tu, oh selvaggio, fa tesoro di questa esperienza:
rimettiti il distintivo all'occhiello, oggi che i tiepidi se. lo tolgono;
ricanta le tue canzoni, giacché non sono più di moda, e
vantati d'essere uno squadrista, giacché si maledice allo squadrismo".
Nel settembre 1924, Mussolini tenne ad Abbadia S. Salvatore un discorso
davanti ai lavoratori delle miniere di mercurio. L'evento venne riportato
sul "Selvaggio" con toni trionfalistici. Infatti il Maccari,
che insieme ad altri esponenti del fascismo senese partecipò a
quella manifestazione, rimase favorevolmente impressionato dalle parole
del duce. Per l'artista colligiano occorreva diffondere uno stile al quale
conformare la nuova classe dirigente. Il fascista doveva essere irruente,
intollerante delle mosche sul naso, ambizioso al rovescio, innamorato
della fatica, del sudore, della squadra e della rivoltella. Egli dileggia
gli arrivisti, gli ambizioncelli, i palloncini gonfiati che infestano
le file del partito, non vuole che servire, obbedire e marciare.
I principali bersagli del Maccari erano il Parlamento e la Massoneria;
comunque dalla rivista. durante il periodo colligiano, si ricava l'impressione
che il peggiore nemico del fascismo, sconfitti i socialisti, fosse costituito
dal liberalismo, nel timore che eventuali accomodamenti con questo, e
specie con le sue frange più retrive, finissero per indebolire
il fasciosmo stesso. Ed è proprio contro il liberalismo che Maccari
si scagliò fin dai primi numeri, nei quali vennero messe in evidenza
le principali differenze che intercorrevano tra i due movimenti. Egli
riteneva anche che le istanze "innovatrici" presenti nel fascismo
non avessero ancora avuto modo di estrinsecarsi: l'anima dei fascismo,
quale l'abbiamo sentita in noi è profondamente rivoluzionaria,
e dobbiamo con franchezza dichiarare che quest'anima rivoluzionaria non
s'è esaurita e neppure espressa completamente in quell'episodio
cominciato bene e finito (...) (marcia su Roma, N.d.A.) Quel che ci sconcerta
e ci lima è il silenzio del duce.
Il discorso di Mussolini pronunciato alla Camera il 3 gennaio 1925, quello
con il quale assunse la responsabilità dell'omicidio Matteotti,
sembrò rispecchiare le aspettative dello sqadrismo provinciale:
i selvaggi sono stati felici pienamente del rapido cambiamento di scena
che ha, dopo tanto, ridato il duce al fascismo e stroncato l'oscena gazzarra
delle opposizioni. A questo punto il Maccari si sentiva in qualche modo
legittimato a "bastonare" quei notabili che secondo lui non
avevano compreso appieno lo spirito intransigente del fascismo: abbiamo
portato un rispetto di cui dobbiamo arrossire alla borghesia e ai cosiddetti
"ceti elevati. Non è un caso che proprio in quel periodo si
verificarono a Colle alcuni incidenti in cui rimase coinvolto anche l'Avv.
Mattone Vezzi. Ma la seconda ondata di violenza, auspicata almeno nelle
dimensioni dall'ala più intransigente del fascismo, non ebbe luogo.
D'ora in poi
Mussolini non si avvarrà più della complicità delle
camicie nere, ma agirà attraverso le istituzioni. Inoltre. a conclusione
di tutto ciò, le leggi "fascistissime" portarono ad una
decisa centralizzazione del potere con la conseguente emarginazione degli
elementi provinciali, di cui i "Selvaggi" costituivano una delle
componenti più attive. Nell'imminenza del congresso nazionale del
partito, che si svolse di lì a poco, il Maccari preannunciò
battaglia'", ma tenne soltanto un più rigido controllo della
rivista da parte dell'autorità prefettizia e di un funzionario
della questura:"', cosa che determinò, perlomeno in questa
fase, un sensibile allontanamento, o meglio, non allineamento tra la politica
intransigente del "Selvaggio" e le istanze normalizzatrici e
diplomatiche del fascismo, che ormai era divenuto regime.
Nell'aprile del 1925 il Segretario del Ministro della Guerra fece un richiamo
ufficiale alla redazione del giornale per un trafiletto ritenuto veramente
inqualificabile, dal titolo "Facciamo schifo". Anche il Prefetto
di Grosseto rilevava sul periodico fascista "Il Selvaggio" espressioni
tendenziose ed inopportune, riguardanti quella provincia. Le autorità
sembravano veramente intenzionate a censurare il giornale, iniziativa
alla quale Maccari si oppose, scrivendo una breve lettera al Prefetto
di Siena. Intanto continuavano le polemiche con la Federazione Provinciale.
Alla fine, in seguito all'invito dell'On. Baiocchi, il Maccari fu costretto
a rassegnare le dimissioni dalla carica di segretario politico del Fascio
di Colle: in pratica egli venne espulso dal Partito. La motivazione fu
conseguente ad una animata discussione avvenuta tra Maccari e Baiocchi
a proposito di un trafiletto apparso sul nº 30-31 del periodico "ll
Selvaggio", con il quale l'artista colligiano prediceva ironicamente
la nomina dell'On. Baiocchi a Presidente dell'1stituto di Alta Cultura
Fascista. Anche successivamente, quando la redazione verrà trasferita
a Firenze, la rivista continuerà ad essere tenuta sotto controllo.
Infatti il giornale, che intanto aveva assunto un carattere prevalentemente
artistico - culturale, subì una pesante censura nel numero del
15 luglio 1927, per un articolo che rappresentava il culmine della proposta
avanzata allora dal "Selvaggio". L'articolo in questione, intitolato
Moralizzare l'ltalia, scritto da Ardengo Soffici, sosteneva che un regime
autoritario, come quello fascista, che ha spogliato i cittadini delle
libertà e garanzie democratiche, si era assunto una responsabilità
maggiore rispetto ad un governo rappresentativo: da ciò derivava,
secondo l'autore, l'impegno per la classe dirigente, di essere ed operare
in modo consono ai principi dell'etica. Negli Stati di tipo democratico
i cittadini, se ritengono che essa sia corrotta, possono infatti ricorrere
al meccanismo elettorale, mentre in un regime autoritario non hanno la
possibilità di difendersi da eventuali soprusi.
Comunque nonostante la censura, il Maccari rimarrà sempre indefettibilmente
devoto a Mussolini.
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